Editoriale

Infertilità ed invecchiamento

Che il mondo sia cambiato non è certo una novità, anzi, i cambiamenti sono stati così tanti nell’ultimo secolo che certamente qualcuno ci è anche sfuggito. Quello che certamente non ci è sfuggito è come sia cambiata l’evoluzione della società umana, in specie quella occidentale o dei paesi industrializzati. Nei primi anni del 900 l’età media per avere dei figli era molto bassa nelle donne, di poco attorno ai 24 anni, ma col passare dei decenni, superate le due guerre mondiali, superato il ’68 e le sue “rivoluzioni” siamo approdati al nuovo millennio con una età media per la prima gravidanza che è attorno ai 34 anni di età.

Con l’aumento delle opportunità di educazione, carriera e di indipendenza economica, in contemporanea a sistemi anticoncezionali assai efficaci, un numero sempre maggiore di donne posticipano la prima gravidanza sempre di più, rasentando così la loro 4° decade di età. Potrebbe non essere un problema se non fosse per il fatto che una parte delle donne ritiene che rimandare il momento della prima gravidanza non si abbini ad un “fisiologico” deterioramento della capacità riproduttiva e che le possibilità di avere una gravidanza siano di poco inferiori attorno ai 37-40 di quanto non siano a 20-25 anni di età (1).

Questo aspetto della infertilità ha fatto si che oggi ai centri di Procreazione assitita sono sempre di più le donne infertili prossime ai 40 anni rispetto a quanto non fossero 20 anni fa, tanto che si può dire che rappresentanto la assoluta maggioranza delle donne che cercano nei Centri una soluzione alla loro nulliparità. Questo è un vero problema perché in una alta percentuale di casi in queste donne sussuste la convinzione che le tecniche di procreazione sono comunque efficaci, senza una correlazione con l’età della donna (1-3).
Nell’ultimo secolo il trend della natalità nei paesi occidentali è andata calando con il parallelo innalzarsi dell’età della prima gravidanza. In Canada l’età media della prima gravidanza era 24 anni nel 1970, è diventato 29 anni nel 1999, oggi è 34 anni (3). In pratica mentre 100 anni fa una gravidanza a 34 anni era la seconda se non la 3° o la 4°, oggi in almeno il 50% dei casi è certamente la prima.
Naturalmente per fare un figlio si deve essere in 2: un lui ed una lei. La componente maschile concorre in modo relativamente minimo nel determinismo della infertilità della coppia. Mi spiego. Esclusi i casi dove si hanno azzospermia e/o immobilità degli spermatozoi, nei Centri di Procreazione assistita la caduta della capacità di avere la gravidanza si correla significativamente in modo inverso con l’età della donna.

Tanto è vero che più l’età della donna è prossima ai 40-42 anni maggiori sono i fallimenti di fecondazione, impianto o per abortività nelle prime 2-3 settimane dal transfer. In pratica in queste coppie la capacità fisiologica di poter fare partire la gravidanza si correla grandemente con l’età della donna piuttosto che con quella del marito (3).
La caduta di capacità fertile nelle donne è sostanzialmente dovuta alla riduzione continua nel corso della vita del numero degli ovociti, a partire dal momento della nascita. Si parte con una dotazione di 6-7 milioni di ovociti a circa 20 settimane di vita endo uterina e già al momento della nascita questo numero si è ridotto a 1-2 milioni (3). Quando si è al menarca gli ovociti sono più o meno 250 mila e si riducono in modo lento ma esponenziale a poche migliaia/centinaia attorno ai 37 anni di età (2). La caduta del numero degli ovociti è un fenomeno assolutamente naturale che si accellera tra i 36-38 anni di età anche se ovviamente fattori ambientali possono influire sui meccanismi che naturalmente lo regolano (4). Certamente fattori genetici sono alla base di questo meccanismo, essendo poi responsabili di una maggiore incidenza di “anomalie” a carico dell’ovocita, il che poi spiega la maggiore incidenza di fenomeni di abortività spontanea nelle donne oltre i 36-38 anni di età (3, 5, 6) e come invece siano più alte della media le gravidanze a termine dopo ovodonazione (6).

Di fatto il successo riscontrato in queste pazienti che ricorrono alla ovodonazione dimostra che il rischio della abortività nelle gravidanze spontanee nelle donne over 38-40 anni di età non è legato alle caratteristiche della donna ma molto è legato alla “stagionatura” delle loro uova (7). Naturalmente anche la recettività uterina svolge un ruolo importante nella buona evoluzione dell’impianto e della progressione della gravidanza, una volta che la gravidanza dovesse iniziare. Certamente i fibromi, polipi o altri fattori fisiopatologici della struttura dell’utero e della sua cavità possono giocare un ruolo negativo (3).
E’ un elemento di riflessione il fatto che uno studio condotto in Danimarca (8) abbia verificato che circa il 13.5% di tutte le gravidanze va incontro ad abortività spontanea ma che tale percentuale è il 50% nelle donne attorno ai 40-42 anni mentre è il 7.4% nelle giovani attorno ai 20-24 per essere quasi il 75% nelle donne a 45 anni di età (8). E va ricordato che il rischio di abortività spontanea non è comunque correlato ad eventuali aborti precedentemente avuti, ammesso che non si identifichino dei reali fattori di rischio (genetici, trombofilici, polipi, fibromi uterini endocavitari, etc.), anche di tipo ormonale (insifficiente funzione luteale, anomala regolazione ormonale dell’ovaio).
Anche il successo con le tecniche di Procreazione Assistita è relativo nelle donne con età prossima ai 40 anni o oltre i 40. Di fatto le inseminazioni uterine su cicli spontanei o indotti, come pure i trattamenti FIVET, portano ad un numero di gravidanze molto ridotto rispetto alle pazienti più giovani, comunque sotto i 35 anni di età (3, 9, 10). Questo supporta quindi l’ipotesi che pur essendo possibile la gravidanza, le probabilità che questa vada a buon fine sono non estreme e sono dipendenti da una sorta di meccanismo intrinseco della donna che fa dipendere questo successo dall’età, da quanto tempo gli ovociti sono rimasti in attesa e da quanto efficienti siano nella loro capacità replicativa una volta fecondati. Questa efficienza non pare essere estrema dato che dopo i 37 anni si ha un numero sempre crescente di probabilità di alterazioni genetiche fondate sulla aneuploidia (3).

A conti fatti quindi con il procedere dell’età la donna diviene meno abile a concepire e/o a portare a termine una gravidanza, anche se utilizza le tecniche di procreazione assitita, deponendo questo sul fatto che la qualità dell’ovocita è un elemento chiave per la probabilità di procreare. Infatti il successo dell’ovodonazione nelle “donne attempate” supporta quindi questa osservazione ed è quindi giusto dover pensare che la migliore stagione per poter avere un figlio sia sempre e comunque prima dei 35 anni di età (3).
Tutto quanto abbiamo detto fino ad ora induce un’altra interessante riflessione: ma se la vita media della donna è oggi quasi 83 anni, come è possibile pensare che la sua fertilità debbe essere limitata ad una fascia di età sicuramente compresa tra il menarca ed i 35-38 anni circa di età ?
La risposta che ho trovato è legata alla evoluzione biologica della specie umana. La vita media è oggi così lunga perché è il risultato di quanto la medicina, le terapie, la prevenzione e soprattutto l’alimentazione, hanno determinato per proteggere la vulnerabilità dell’uomo dai fattori ambientali quali le risorse alimentari, le malattie, il caldo, il freddo. Ma l’evoluzione a cui la specie umana è arrivata oggi è stata troppo veloce, molto più veloce è stata l’evoluzione delle capacità logiche a produrre cambiamenti tecnologici che ci hanno portato ad essere passati da case di paglia e fango del 4000 A.C ai grattacieli con aria condizionata e riscaldamento di oggi, dall’andare a caccia o a raccogliere bacche e frutti siamo passati a fare la spesa alla iperCoop o alla Esselunga. Siamo stati troppo bravi ma non abbiamo fatto i conti con la nostra evoluzione biologica che purtroppo per noi impiega molto più tempo ad evolversi ed adeguarsi ai cambiamenti ambientali. E questo è il risultato: viviamo molto più alungo, moriamo molto meno, sopravviaviamo a molte più cose ma la nostra capacità biologica a riprodurci è cambiata poco o forse nulla, forse tra qualche migliaio di anni le donne avranno evoluto una biologia che attorno ai 40 le farà essere più ricche di ovociti cosi che la capacità riproduttiva si protrarra più oltre rispetto a quanto non sia adesso. Staremo a vedere tra qualche migliaio di anni.
L’invecchiamento quindi è oggi un elemento con cui doversi confrontare, visto che la vita è lunga diventa essenziale il saperla affrontare non solo con le terapie mediche classiche ma anche con metodi naturali atti a meglio gestire o mitigare i cambiamenti biologici che prendono luogo nel nostro organismo per il procedere del tempo. In particolare nelle donne ! molto si sta facendo per loro infatti e molto ci sarà ancora da fare.

Per questo le iniziative su questo tema sono molte e ve ne voglio segnalare una, a fine Novembre prossimo, che si terrà a Milano, curata dalla Soc. Scientifica Regenera: LongEva. A questo evento è dedicato al passre del tempo ed agli effetti sulla donna: LongEva appunto. Nell’ambito del Congresso è stata chiamata a partecipare con un suo Simposio anche la nostra Società scientifica ISGE a dimostrazione della nostra sensibilità per questo specifico tema e sempre per questa ragione con questo numero del Bollettino vi proponiamo una interessante mini-review sui temi dei disturbi che insorgono nel corso del procedere dell’invecchiamento e che alterano l’equilibrio psico-neuro-endocrino ed un evento biologico di grande importanza come il sonno. Conoscere il dissequilibrio è possibile come è possibile poter ottenere miglioramenti da interventi integrativi piuttosto che medicalizzati.

Buona lettura e ben tornati da una così calda e lunga estate!

Referenze

  1. Leader A. Pregnancy and motherhood: the biological clock. Sex Reprod Menopause 2006;4:3–6.
  2. Ng EH, Ho PC. Ageing and ART: a waste of time and money? Best Pract Res Clin Obstet Gynaecol 2007;21:5–20.
  3. Balash J. Ageing and infertility: an overview. Gynecol Endocrinol 26: 855-860, 2010
  4. Hartge P. Genetics of reproductive lifespan. Nat Genet 2009;41:637–638.
  5. Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine. Aging and infertility in women. Fertil Steril 2006;86(suppl. 4):S248–S252.
  6. ESHRE Capri Workshop Group. Diagnosis and management of the infertile couple: missing information. Hum Reprod Update 2004;10:295–307.
  7. Toner JP, Grainger DA, Frazier LM. Clinical outcomes among recipients of donated eggs: an analysis of the U.S. national experience, 1996–1998. Fertil Steril 2002;78:1038–1045.
  8. Nybo Andersen AM, Wohlfahrt J, Christens P, Olsen J, Melbye M. Maternal age and fetal loss: population based register linkage study. BMJ 2000;320:1708–1712.
  9. Society for Assisted Reproductive Technology and the American Society for Reproductive Medicine. Assisted Reproductive Technology in the United States: 2000 results generated from the American Society for Reproductive Medicine/Society for Assisted Reproductive Technology Registry. Fertil Steril 2004;81:1207–1220.
  10. Mahutte NG, Arici A. Poor responders: does the protocol make a difference? Curr Opin Obstet Gynecol 2002;14:275–281.

Prof. Alessandro D. Genazzani

 

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