Ricordo quando ero ancora studente in medicina e seguivo le lezioni di Medicina Interna, di Cardiologia, e della neo-nata Endocrinologia. A Firenze, negli anni 80, i grandi luminari erano il Prof. Teodori, il Prof. Franchi, il Prog. Giusti e il Prof. Serio e tutti con grande competenza clinica ci rimbambivano di “dictat” su quanto era rilevante il lavoro della insulina per gestire il metabolismo e come questo fosse rilevante per la salute della persona: l’insulina quando manca induce il diabete, con danni metabolici su una miriade di organi dovuta alla iperglicemia, alla ipercolesterolemia. Ipertensione, ictus, infarto, e tanti ancora erano gli spauracchi che a noi studenti di medicina venivano prospettati se mai ci fossimo dimenticati del ruolo della insulina. Ovviamente tutto vero, ma ….. esiste sempre un ma.
Sono passati quasi 30 anni da quando mi sono laureato e poi specializzato in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo (così era chiamata l’Endocrinologia) e per l’insulina e la sua reputazione sono veramente cambiate tante cose!
La percezione che avevo sempre avuto di questo ormone era di tipo “positivo”, del tipo “meno male che c’è”. In effetti è così ma solo in parte, le cose col tempo e con tanta ricerca hanno permesso di capire e di scoprire gli scheletri negli armadi della insulina !
I dati scientifici degli ultimi mesi hanno dimostrato che nella nostra specie, così come in molte altre tra cui il ratto, l’eccesso di insulina determina una alterazione delle attività metaboliche e predispone a molte delle malattie e disturbi che si legano appunto alla obesità e che coinvolgono organi come cuore, sistema circolatorio, rene, intestino, scheletro, sistema nervoso centrale. L’obesità è una quadro oggi decisamente allarmante. E’ andata aumentando su tutto il globo come incidenza, più ci globalizziamo, più ingrassiamo. Più cambiamo lo stile di vita e ci spostiamo da un continente all’altro più ingrassiamo. Un esempio ? le popolazioni di colore, di origine affricana: magri in Africa, obesi negli USA. E tutto per il cambio di stile di vita nel nuovo continente.
Ma torniamo alla insulina. Gli scienziati hanno scoperto che se al topolino tolgono i geni che codificano la sintesi di insulina, il topolino è meno siggetto a diventare obeso se gli viene fatta mangiare una dieta ricca di grassi e di sostanze ipercaloriche. Ma lo cosa sorprendente è che così come nel topolino normale l’aumento del peso è proporzionato alla quantità di cibo e ai livelli di insulina e di iperinsulinemia che la iperalimentazione induce, il topo KO (Knock Out), cioè privo dei geni per almeno ¾ dei geni della insulina (ne ha cioè solo ¼ rispetto al topolino normale) può mangiare quel che vuole e quanto vuole di cibo ingrassante e ipercalorico ma non diventa obeso e non è iperinsulinemico. Anzi, la scoperta sorprendente è che le attività metaboliche del topolino si sono adeguate ed hanno attivito delle vie metaboliche alternative ed impensate per cui il metabolismo basale o il metabolismo indotto dalla attività fisica fa bruciare molte più calorie. E questo sarebbe una delle spiegazioni del perché i topolini KO non ingrassano avendo meno insulina disponibile della norma. In pratica il topolino campa meglio se ha la insulina bassa, e questo gli evita in primis la obesità e un mare di altre problematiche innescate dalla iperinsulinemia. Morale, l’insulina bassa è induttrice di buona salute.
Questa scoperta potrebbe sembrare un “gioco della scienza”. Il topo è il topo ma l’uomo è l’uomo. Non esiste che l’uomo diventi KO per i geni della insulina per togliersi il rischio della obesità e delle malattie ad essa correlate. Vero, ma il significato di questa scoperta è indurre delle riflessioni sulla salute e sulla biologia dell’uomo.
Mi ricordo che nel passato leggevo con ammirazione e stupore le osservazioni in tema di scienza, fisiologia e medicina di personaggi che tutto erano meno che medici o biologi. Erano i grandi uomini del 1600 fino al 1800, dei filosofi, dei cultori del sapere, quelli che scrivevano che “siamo ciò che mangiamo”, quelli che sostenevano che l’uomo “forse non è stato creato da Dio, ma dalla natura che ha plasmato l’evoluzione umana”. Mentre scrivo queste righe, mi rendo conto che mi sto addentrando in una sorta di percorso scientifico-filosofico, e che invecchiando, rifletto molto di più su quanto negli anni la lettura della scienza mi ha insegnato.
Che il grasso, che essere obesi faccia male sia al maschio che alla femmina lo sappiamo e lo abbiamo segnalato e discusso già in altre occasioni (Bollettino di Ginecologia Endocrinologica n° 3/2013, n° 6/2011). Abbiamo anche imparato quanti disastri faccia la iperinsulinemia indotta dalla obesità o dalla predisposizione familiare al diabete, e sappiamo anche che l’incidenza anche di molte patologie oncologiche è decisamente alta nei pazieneti che soffrono di diabete di tipo 2. Solo 3 anni fa avevamo segnalato attraverso il nostro Bollettino (n°2/2011) come il trattamento con la metformina avesse dei risvolti positivi non solo sull’andamento clinico del diabete ma anche sulla incidenza di patologie oncologiche. Di fatto la metformina riduce la iperinsulinemia e quindi riduce la spinta che la troppa insulina determina al mantenimento del tessuto adiposo e in quanto “fattore di crescita” su tutti i tessuti del corpo umano, facilitando così eventuali sviluppi di patologie oncologiche. Tanta insulina, aumento del rischio oncologico.
La presenza quindi di ridotti livelli di insulina è quindi positiva anche per avere meno rischi di tipo oncologico. E’ questo un dato interessante che ci indica con chiarezza che con meno insulina si vive bene ugualmente, che essere obesi e con iperinsulinamia si rischia troppo (anche per i tumori quindi), che ridurre la insulina (anche con la metformina) e/o il peso (con l’attenzione alimentare e l’attività fisica) riduce tutti i rischi e migliora la qualità della vita.
A questo punto dobbiamo cercare di collegare le varie cose tra loro.
Penso che la prima osservazione importante debba essere fatta relativamente alle caratteristiche della nostra biologia, la biologia della specie umana. La nostra specie ha superato l’ostacolo del tempo ed è approdata ai tempi nostri attraverso secoli, millenni di storia e di evoluzione che negli ultimi 20 mila anni ha sostanzialmente interessato il cervello e meno le altre parti del corpo. L’antropologia ci insegna in modo netto che oggi l’uomo è solo biologicamente poco diverso da quello di 10-20 mila anni fa, lo dimostrano i reperti fossili e le scoperte archeo-antropologiche. L’uomo di Neanderthal cacciatore e parzialmente raccoglitore fu prevaricato da una nuova generazione di ominidi che aveva imparato a vivere lungo i fiumi e le lagune, cibandosi di pesce, verdure e di qualche animale. Qualche migliaio di anni di alimentazione ricca di grassi omega 3 (quella del pesce) ha lentamente indotto un aumento dello spessore delle membrane dei neuroni, costituite per il 30% proprio da omega 3. La corteccia del cervello è quindi aumentata di spessore modificando la dimensione della cavità cranica e del cranio stesso. L’ Homo Sapiens divenne diverso nel cranio rispetto a quello di Neanderthal perché gli sparirono le bozze osse frontali in quanto il cranio aveva bisogno di più spazio per accogliere un cervello più grande. Cambiò il cervello e la sua specificità funzionale, decisamente migliore, con alta capacità di apprendimento, di mnesi e di livello logico-cognitivo. In pratica iniziava l’evoluzione verso la nostra specie di Homo Sapens Sapiens. E la biologia ? sempre la stessa, basata su un cibo genuino ma sicuramente non abbondante. Se si voleva mangiare, bisognava darsi sa fare.
E’ ovvio che 10 mila anni fa l’uomo era in grado di procurarsi il cibo ma non aveva certamente la Conad o la Coop dove prenderselo. I percorsi metabolici della nostra biologia si sono ingegnati per disegnare un sistema che permettesse al nostro fisico di sopravvivere alla frequente scarsità di cibo: l’accumulo di energia nel tessuto adiposo. La nostra specie è sempre stata privo di cibo, solo negli ultimi 3000 anni ha imparato a curarlo ed averlo quasi ogni giorno ma solo nell’ultimo secolo abbiamo visto in modo crescente l’apparizione del sovrappeso e dell’obesità.
10 mila anni fa si mangiava forse 3 volte alla settimana, oggi mangiamo almeno 3 volte al giorno …. troppo per un organismo che non è cambiato molto in termini metabolici. Il troppo cibo mangiato viene stoccato come grasso perché la nostra biologia, scritta nel nostro DNA, pensa ancora come se fossimo uomini di 10 mila anni fa: mettiamo da parte quanto non consumiamo, cioè l’esubero, potremmo non trovare più cibo domani ! ma non è così, oggi la Coop e la Conad aprono anche la domenica.
Tutta questa storia ha una morale che è quella di prestare attenzione a noi stessi nel nostro quotidiano. Curare l’alimentazione e esercitare il fisico oggi è un poco come ripercorrere il cammino dell’uomo preistorico che al mattino per trovarsi da mangiare inseguiva qualche roditore o qualche uccello, certamente doveva correre e camminare molto (sana attività fisica) e forse la quantità di cibo che recuperava era precisa o scarsa (porzioni piccole ma adeguate) ma certamente sovrappeso o obesità non lo affliggevano, tanto meno la iperinsulinemia. Era necessario essere magri e scattanti a quel tempo, poteva fare la differenza tra sopravvivere o morire. Di fatto la stessa di oggi.
Certamente l’insulina di quegli uomini era bassa: dolci, pizze, patate (le portò cristoforo Colombo dopo il 1492 dall’America) e zucchero non c’erano, esattamente il contrario di quanto è per noi oggi e cibandoci con troppa di questa roba la nostra insulina diventa alta, anche troppo alta!
La iperinsulinemia, l’obesità ed i disastri metabolici sono quindi legati non tanto a malattie organiche quanto a “vizi” indotti dalla alimentazione che si possono trasformare poi in gravi patologie. E la troppa insulina è il vettore che innesca questi problemi.
Occorre quindi maggiore attenzione e cura nella nostra alimentazione. Ridurre in modo appropriato la risposta della insulina ai troppi zuccheri e grassi significa evitare la iperinsulinemia e il sovrappeso/obesità che possono essere,ahimè, il punto di partenza di alterazioni ormonali ostacolanti la riproduzione e, a lungo termine, la salute della donna.