Non era il tema che volevo trattare con questo editoriale, me ne ero pensato uno ben diverso, uno di quelli che nasce dal mettere insieme idee e riflessioni scaturite seguendo i Meeting internazionali e le letture di articoli apparsi nei numeri recenti delle grandi riviste. Per uno strano fenomeno di “evoluzioni di pensieri” si è trasformato in tutt’altro tema nel mio cervello e nella mia penna.
Non sia mai che il sottoscritto voglia giudicare l’Università, un sistema che negli ultimi anni ha ampiamente dimostrato di non essere così efficiente ed evoluto benché abbia cercato di scrollarsi di dosso vecchie alchimie nei sistemi di arruolamento dei propri uomini, cioè gli universitari. Ha indetto un sistema assai sofisticato di reclutamento, uno di quelli che per capirlo è richiesta una laurea in statistica o meglio in calcolo delle probabilità, insomma meglio se si è dei matematici. Il sistema apparentemente è partito, ha reclutato, ha dato degli elenchi d’idonei. Vedremo come andrà a finire. Ma io sono sempre qui ed aspetto.
Che cosa direte voi. Aspetto che cresca l’erba. Come per il cavallo. Ricordate il proverbio? “Campa cavallo che l’erba cresce”.
Se non avete capito ve lo spiego. Appartengo al mondo dell’Università di Medicina dal 1994, ci sono entrato con la caparbietà di quello che crede nel proprio lavoro e che ha continuato a farlo fino ad adesso. Ma sono arrivato quasi al capolinea. Incredibile ma vero. Nutro dei dubbi, e molti.
In un attimo ho messo assieme gli eventi degli ultimi anni. Riforma dell’accesso alla facoltà di Medicina, riforma del sistema di reclutamento degli universitari e nell’ultimo anno la riforma dell’accesso alle scuole di specializzazione. Bingo.
Mi guardo allo specchio, ogni mattina, rifletto nello specchio mentre mi faccio la barba, oltre alla mia immagine, anche i miei pensieri. Non mi vedo molto su di morale, anche oggi.
Negli ultimi 2 anni ho avuto sempre più problemi nella mia attività di ricerca e di didattica. Per non parlare dell’assistenza, faccio in pratica l’ospedaliero, senza averne lo stipendio ovviamente.
Ricordo ancora quando i neo laureati erano, come era stato per me, pervasi dall’entusiasmo di crescere e di imparare una disciplina che si sarebbe dovuta poi trasformare in professione vera, unica, per tutta la vita.
Adesso le cose sono proprio diverse. Dopo avere scelto con fatica chi si debba laureare con me, dopo avere per 12 mesi fatto crescere da “studente semplice” a “studente evoluto laureato” un giovane, uno cioè che è in grado di fare ma più che altro è in grado di pensare ed agire, insomma un vero “neo-medico”, il sistema universitario non permette che possa continuare a crescere ed evolvere nell’ambito della struttura clinica- universitaria che lo ha formato, cioè con me, e per la quale forse sarebbe tagliato e predisposto, per sua scelta. Non avrebbe forse fatto la tesi con me! ebbene, negli ultimi 2 anni, a fronte di avere avuto degli eccellenti medici neo-specialisti che lasciano la scuola di specializzazione per entrare nel mondo della professione, ci siamo visti arrivare, quasi recapitare degli spauriti neo-laureati, impreparati ad affrontare un mondo, quello dell’Ospedale, dell’assistenza, in cui loro non sono cresciuti. Vengono infatti da realtà di altre città, di altre regioni italiane, con quasi sempre una passione aspecifica per la nostra disciplina, senza ancora un orientamento definito su cosa voler essere.
Può sembrare esagerato ma la sensazione che si prova guardando questi ragazzi è come quella di vedere un gruppo di partecipanti all’isola dei famosi, ma nessuno di loro ha mai fatto il militare, non ha mai acceso un fuoco e non sa pescare…
È da questi ragazzi che devono scaturire i nuovi appassionati alla ricerca, alla didattica, per rendere ancor più viva e vitale l’Università. La vedo molto dura, per quanto sia tanto l’impegno che ci metto.
Negli ultimi 12 mesi in cui il sistema di accesso alle scuole di specialità è stato cambiato (con un successo clamoroso di caos e di ricorsi) coloro che si sono laureati con me, con molta onestà, dopo mesi di lavoro e di impegno, mi hanno candidamente salutato, il giorno dopo la loro laurea, abbandonando il nostro Policlinico con un saluto per tutti simile a questo: “Grazie Prof., è stata una esperienza unica fare la tesi con lei, ho capito molto ma non frequento più, tanto non so dove andrò e la probabilità che torni qui con lei è minima, sarebbe inutile continuare a frequentare e a lavorare ancora, con lei, spero di rincontrarla, chissà.”
Oggi, a 12 mesi dal quel saluto mi ritrova prossimo ad un altro saluto, del tutto simile, quello dei ragazzi che tra meno di 30 giorni si laureeranno. Per nessuno di loro ho avuto il tempo di instillare l’amore per la scienza, per la ricerca, per la cultura, per l’assistenza fatta con la passione. Hanno davanti lo spettro degli esami nazionali, della probabilità di andare a fare forse una specialità diversa da quella su cui hanno fatto la tesi. Subiscono quasi passivamente gli eventi, non ci sono altri modi per affrontarli.
Coloro che sono arrivati, che sono i neo-specializzandi, sono disorientati e intimoriti da un nuovo ambiente, da nuovi adattamenti, nuovi colleghi, gli è praticamente impossibile perseguire delle aspirazioni e degli interessi, forse negli anni futuri. Si devono adattare ai turni, alle guardie, agli strutturati, quasi tutti ospedalieri e poco propensi alla ricerca, devono principalmente obbedire ed eseguire, se mai pensare ogni tanto. Triste, un modo triste di fare crescere dei futuri professionisti che arrivano da noi con poche passioni o interessi, che non hanno neanche voglia di farsele venire.
Mi guardo indietro, e mi rendo conto che ho partecipato a plasmare dei bravi specialisti, cresciuti con me dalla laurea alla specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia, frequentando colleghi preparati, ma continuando a interessarsi ai temi con cui sonio cresciuti fina dalla tesi di laurea. Alcuni di loro sono rimasti nel nostro Policlinico, altri sono andati in Ospedali vicini a noi, tutti bravi ma tutti plasmati fin dal primo momento, fin da quando erano studenti, fino al giorno di specializzazione, infettati dalla passione del capire di chi gli stava vicino.
Un sistema così come è adesso snatura la selezione naturale dei futuri specialisti appassionati, di quelli cioè che potrebbero credere nella disciplina e che potrebbero dedicarsi ad essa perché si sono infettati con la “passione per la scienza” . E’ impossibile trasformare un medico fatto altrove in uno fatto “in casa” cercando di erudirlo ed educarlo alla passione universitaria. Creeremo degli specialisti, solo e soltanto degli specialisti.
Peccato, credo che noi universitari rischiamo l’estinzione, proprio come i dinosauri, il tramonto di una specie.
Prof. Alessandro Genazzani