Nell’immaginario collettivo la buona prestanza fisica, il controllo del peso e il mangiar sano sono considerati sinonimo di buona salute. Di fatto è così ma non sempre lo è realmente. Dai lontani anni 80 il fitness ed il controllo alimentare, sia qualitativo che quantitativo, ci hanno lentamente spinto ad introdurre nella nostra quotidianità oltre che una maggiore attenzione alimentare anche una maggiore attività fisica.
In effetti le osservazioni che il Ministero della Salute ha prodotto negli ultimi anni indicano in modo netto che la popolazione italiana, al pari di quella di tutti i paesi occidentali ed industrializzati, sta lentamente procedendo verso un preoccupante incremento delle persone in sovrappeso se non obese. In circa 25 anni la percentuale di italiani con sovrappeso/obesità è di fatto salita del 30%. L’aumento del peso è profondamente legato a tanti parametri e fattori che condizionano la vita di ognuno di noi ma in sostanza è primariamente dipendente da fattori culturali e di educazione. Sapere perché è bene mangiare con accortezza, conoscendo le quali siano scelte alimentari adeguate, il valore della nutrizione e sapendo quanto è importante abbinare nella nostra vita quotidiana anche un minimo di attività fisica, sono i parametri con cui ci guadagnamo il credito di una vita più sana e probabilmente più lunga e meno interessta da malattie che, in specie in medio-tarda età, hanno un peso non indifferente quali il diabete, i disturbi cardio circolatori, patologie respiratorie.
La coscienza di quanto detto sopra ha prodotto una strana reazione nelle persone. Considerando quante sono le persone obese o in sovrappeso che a tutt’oggi si vedono a giro per le strade o nei nostri ambulatori, viene quasi da pensare che il messaggio sia quasi passato inascoltato e che le persone non si siano rese conto dei rischi potenziali che sovrappeso e obesità possono determinare.
Ma non è proprio così. Non tutti infatti sono stati sordi a questi messaggi che da 20 e più anni ci vengono lanciati non solo dalla scienza ma anche dai banali messaggi pubblicitari di barrette “non ingrassanti”, pasticche “sgonfia pancia”, perle “anti assorbimento di grassi” e quant’altro. La cultura mediatica ha infatti prodotto lentamente un crescente e costante aumento di “salutisti e sportivi”, di coloro cioè che hanno deciso di prendersi cura con logica, attenzione alimentare ed attività fisica al problema della propria salute o al mantenimento della stessa.
Infatti negli ultimi 30 anni si è avuto un considerevole aumento dell’esercizio fisico sia tra gli uomini che tra le donne non solo come attivtà occasionale ma anche a livello amatoriale e agonostico, fino anche alla ben impegnativa maratona. Tanto per fare un esempio negli Stati Uniti il numero delle donne che hanno partecipato a delle maratone non solo a livello agonistico ma anche amatoriale sono salite dal 12% del totale dei partecipanti degli anni ’80 al 40% nel 2008. E questo è più o meno accaduto anche in tutti gli altri sport, calcio compreso ! solo adesso si cerca di valutare se e come tutta questa attività fisica “al femminile” possa condizionare la capacità riproduttiva. Di fatto si è arrivati a questa grande popolarità della attività fisica grazie alle spinte dei social networks come dei giornali o della televisione. È fuori dubbio che fare attività sportiva o fisica in genere sia assolutamente positivo ma ciò che è da sapere è che farne troppa può essere negativo avversando anche la stessa capacità riproduttiva (1).
Tanto per cominciare le maggiori difficoltà riproduttive sono in gran lunga più frequenti nelle atlete rispetto alle non atlete o comunque rispetto alle donne che fanno solo poca o minima attività fisica settimanale (2, 3) e più l’attività fisica è intensa maggiore è la frequenza della condizione di anovulatorietà (4). È altresì assai indicativo che le percentuale di gravidanze nei cicli di fertilizzazione assitita sia assai minore nelle pazienti che praticano attivtà sportiva/fisica intensa (5). Negli anni scorsi uno studio condotto su quasi 4000 donne, studiate per più di 10 anni, ha dimostrato che sussisteva una precisa correlazione tra la frequenza, intensità e la durata della attività/pratica sportiva e la incapacità a concepire e che le donne che si allenavano per più giorni alla settimana avevano 3.2 volte il rischio di infertilità rispetto a donne maggiormente o del tutto sedentarie (6).
In genere la comparsa di irregolarità mestruali è sempre possibile e normalmente è considerata normale l’insorgenza di un ciclo mestruale “anomalo” ogni anno, 1 su 12-13 quindi, in donne che fanno modica attività fisica o di tipo ricreativo ma non certo agonistico. Ben diversa è però la situazione per le donne che fanno pratica sportiva intensa fino anche ai livelli agonistici. Il disturbo più grave che può riscontrarsi è l’amenorrea ed in queste pazienti si correla in modo specifico con un BMI ai limiti inferiori della norma o addirittura più basso del dovuto (7).
Non si deve pensare che il sintomo della amenorrea sia l’unico, è solo il più eclatante ed è l’ultimo di una serie. Infatti in genere il disordine riproduttivo prende avvio con una sostanziale difficoltà all’ovulazione che si concretizza con una ridotta produzione di progesterone che innesca un difetto della fase luteale, tipico in almeno il 79% delle atlete (8). Di fatto un corpo luteo non ben strutturato è la conseguenza logica di una mancata ovulazione o per luteinizzazione di un follicolo non andato incontro a maturazione adeguata: questo porta ad una fase luteale breve (meno di 10 gg) e/o insufficiente. Nel caso in cui si sia avuta comunque l’ovulazione, una eventuale gravidanza insorta con un corpo luteo non adegauato frequentemente non si evolve e si interrompe spontaneamente, spesso con cicli mestruali anomali per durata e quantità (9). Questo è dovuto ad una non adeguata preparazione endometriale ai fini dell’impianto dell’uovo fecondato per gran parte sostenuta dai non adeguati livelli di estrogeni e progesterone. Ovviamente in altri casi dove l’attività fisica è relativamente meno intensa, il disturbo riproduttivo si presenta lo stesso magari con cicli assolutamente regolari nella periodicità (ogni 28-32 gg) ma certamente con alterazioni della capacità ovulatoria (9).
Che l’attività fisica sia quindi un grave freno alla capacità riproduttiva femminile è ben chiaro ma solo con studi abbastanza estesi si è capito che l’impegno fisico/atletico in grado di interferire con la capacità riproduttiva deve superare almeno le 4-5 ore di allenamento settimanali, da almeno 1 o più anni, per indurre una riduzione della capacità procreativa del 40% (5). In pratica è la cronicizzazione di una attività fisico-sportiva a determinare un sottile ma progressivo deterioramento della qualità della ovulazione agendo negativamente proprio sulla selezione e/o progressione del follicolo dominante.
Alla base di tutti gli eventi su detti stanno delle precise alterazioni del controllo neuro-endocrino dell’asse riproduttivo. In primis c’è una alterazione del rilascio pulsatile del GnRH ipotalamico che condiziona negativamente quello di LH ed FSH dall’ipofisi (10, 11). L’ovvia risultante di questo è una anomala regolazione della funzione ovarica con alterazione del reclutamento follicolare, della maturazione follicolare e conseguente anomala produzione di steroidi sessuali (estradiolo e progesterone). Tutti questi eventi più o meno combinati tra loro fanno passare dal ciclo ovulatorio a quello anovulatorio pur se mestruato, a quello anovulatorio con fase luteale insufficiente e/o breve fino all’oligomenorrea se non alla amenorrea.
A questa situazione, in certe pazienti, si può sovrapporre l’iperfunzione dell’asse surrenalico, attivato da fattori di stress sia fisici (allenamenti intensi e/o troppo frequenti) sia metabolici (diete, attenzione alimentare, forte dispendio energetico e conseguente BMI basso). Questo determina un consistente rialzo degli androgeni surrenalici come l’androstenedione e il 17OHP ma anche del cortisolo. Quest’ultimo è il vero ormone stress-indotto, prodotto specificamente per incrementare l’azione gluconeogenica da un lato e l’attenzione (come negli animali) per fare fronte alla causa dello stress, dall’altro (12). È paradossale ma interessante ricordare che quando l’attività fisica è cronicamente stressante (troppi allenamenti e troppo tempo dedicato ad essi), l’elevazione degli steroidi surrenalici, cortisolo compreso, tende ad essere di minore entità e col tempo si riduce. Questo è un segnale importante che depone per una sorta di adattamento dell’organismo allo stress indotto dall’attività fisica ma è anche un segnale che l’organismo ha minori capacità di compenso e di reattività (13, 14).
Il termine stress, oggi assai inflazionato nel suo significato, sta ad indicare “un adattamento” che i meccanismi biologici hanno per affrontare una situazione ambientale potenzialmente difficile e che richiede una maggiore attenzione ed una disponibilità energetica (15). L’innesco di questo fenomeno adattativo è tipico nella sportiva che deve affrontare una corsa o un allenamento, simile a quello che si ha nell’animale che si pone in condizione di difesa/offesa, pronto ad attaccare o a difendersi, ed in cui l’ultima delle cose che l’organismo richiede è l’alimentazione. Di fatto l’innesco dell’ipersecrezione degli ormoni dello stress in specie del CRF-ACTH attiva un grosso rilascio di oppioidi nel cervello, sostanze di per se anoressizzanti ma l’elevazione del corstisolo, che induce la gluconeogenesi, si sitituisce alla alimentazione per azione catabolica su proteine e lipidi. Nel tempo l’ipertono oppioide assieme a quello dell’ipersecrezione surrenalica inducono una minor ricerca di cibo e meno disponibilità energetica legata alla alimentazione, determinando la riduzione del BMI con un successivo effetto negativo sul rilascio di LH ipofisario, innescando o aggravando ulteriormente il disturbo della funzione ovarica (1).
Non tutte le attività sportive determinano nelle donne queste alterazioni della capacità riproduttiva, sostanzialmente lo fanno solo quelle che richiedono allenamenti e sforzi fisici prolungati nel tempo con grosso dispendio di energia (16) come la corsa, il nuoto, trekking estremo, marcia, etc.
Da quanto fino ad ora detto non deve emergere un quadro negativo del fare attività fisica ! si deve però cercare di capire quanto l’impegno fisico può condizionare negativamente le proprie funzioni, in specie quelle più vulnerabili come la riproduzione.
Quello che viene spontaneo chiedersi è però perché tutto questo accada, perché questo sia conseguenza di una attività fisica che comunque è tonificante, corroborante e sicuramente inducente miglior funzione a molti organi ed apparati come quello muscolo scheletrico e quello cardio-circolatorio.
La risposta a questa domanda è relativamente facile ma si può riassumere dicendo che la specie umana è oggi molto evoluta. Certamente è la più evoluta delle specie animali esistenti ma attualmente lo siamo molto di più per la logica e l’intelletto di quanto non lo si sia per le funzioni biologiche. L’ingegno umano, la capacità logica e l’intuito ci hanno fatto evolvere in quanto abbiamo risolto molti problemi pratici negli ultimi 10 mila anni, tra cui come produrre cibo coltivando piante ed allevando animali piuttosto che andando a caccia o cercando frutti ma la nostra biologia non è evoluta così rapidamente come il nostro cervello ed intelletto. La nostra biologia tipicamente animale lavora e si comporta ancora come faceva 10 mila anni fa, quando si digiunava giorni o settimane e l’attivtà fisica era dovuta al fuggire per non essere mangiati da altri predatori o nemici e le migrazioni, anche di centinaia di km, erano la regola quando d’inverno cibo non se ne trovava nel freddo …. Una vita assai misera a cui la biologia aveva trovato una soluzione per salvare il genere umano, in specie le donne: impedire la riproduzione facendo si che i meccanismi indotti dal digiuno, dalla fatica fisica, dal correre fossero in grado di bloccare la riproduzione, semplicemente impedendo l’ovulazione. Tutto questo per impedire che le donne rimanessero gravide in periodo di fame e di stenti, durante il quale rimanere gravide era sinonimo di morte per consunzione e cachessia. Era in pratica l’anticoncezionale del paleolitico!
Ebbene, questo sistema tutt’oggi funziona ancora, con le stesse regole e gli stessi meccanismi nelle giovani donne moderne e sportive. La loro biologia non sa che il mondo esterno è cambiato e che si corre per la salute o per mantenere il peso, non per fuggire da un pericolo. Oggi come 10 mila anni fa il sistema protegge le donne dal pericolo del rimanere gravide, un pericolo che però è inesistente ma che la biologia teme ancora. E allora che fare? educare, è la vera ed unica cosa da fare. Educare e rendere coscienti le donne che la loro fisicità è diversa ed è certamente più vulnerabile sul versante della capacità riproduttiva rispetto al maschio. La fatica sportiva pur se benefica per molti aspetti è certamente negativa per altri se troppo prolungata nel tempo.
Anche per le sportive che hanno la fortuna di competere per delle medaglie giunge il giorno in cui l’attività deve cessare e deve rientrare in quel minimo che vuol dire buona salute ma non più consunzione fisica e metabolica con effetti negativi sulla riproduzione. Il troppo sport non uccide certamente ma può evocare lo spauracchio della infertilità e della incapacità riproduttiva in specie in quelle giovani donne che superano i 35 anni.
È sempre bene soffermarsi a pensare che cosa si vuole avere e fare nella vita: meglio una modica attività fisica, una alimentazione più controllata ed una buona capacità riproduttiva piuttosto che tanto stress fisico e molta probabilità di stress psicologico indotto dal timore di non poter avere una gravidanza.
E veniamo alla mini review di questo numero: DHEA, mitico ormone della giovinezza o solo un etereo steroide senza alcuna pretesa? un mistero che viene rapidamente svelato da questa review che ci propone il DHEA come una valente possibilità teraputica molto “naturale” e proiettata a far si che l’organismo scelga come meglio gestire le sue attività di sintesi ormonali. Vale la pena conoscere il DHEA proprio per importanti opzioni terapeutiche che offre.
Buona estate a tutti voi dal sottoscritto e dal staff tutto del Bollettino di Ginecologia Endocrinologica.
Referenze
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Prof. Alessandro D. Genazzani