n4-2025

Notizie

Vent’anni per vedere l’ovvio…

Introduzione

Cari Colleghi,

dopo oltre due decenni, autorevoli prese di posizione da parte delle istituzioni sanitarie statunitensi hanno finalmente rimesso in discussione la campagna, scientificamente ingiustificata, che ha colpito la terapia ormonale in menopausa a seguito di una interpretazione errata dei dati dello studio Women’s Health Initiative.

I danni arrecati alla salute e alla qualità di vita di milioni di donne restano purtroppo irreversibili; tuttavia, questo rappresenta un passaggio rilevante verso il ripristino di una visione corretta, basata sulle evidenze, della cura della menopausa.

Con il presente documento, redatto dal Board della International Society of Gynecological Endocrinology (ISGE) e pubblicato su Gynecological Endocrinology, intendiamo offrire ai Soci AIGE e alla comunità scientifica italiana, una riflessione scientifica rigorosa sul contesto storico, metodologico e clinico che ha condotto alla demonizzazione della terapia ormonale e sulle sue conseguenze.

Riteniamo che una rilettura critica di questi dati sia oggi indispensabile per restituire alla pratica clinica una gestione razionale, personalizzata e realmente evidence-based della menopausa, nell’interesse primario delle pazienti.

Con i migliori saluti,

Prof. Alessandro Genazzani
Presidente
Associazione Italiana di Ginecologia Endocrinologica (AIGE)


Editoriale tratto da Gynecological Endocrinology Vol 41/2025.  Vedi qui la versione originale dell’articolo.

Il 10 novembre 2025, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) ha annunciato la rimozione del black box warning da tutte le formulazioni della terapia ormonale sostitutiva in menopausa (HRT)

Twenty years to see the obvious

Questa decisione ha suscitato un’ampia attenzione e numerose società scientifiche e associazioni di pazienti hanno accolto questo primo passo come un ritorno verso un approccio razionale e basato sulle evidenze all’utilizzo degli ormoni nella salute della donna.

Ciò che non è stato sufficientemente sottolineato è che questa decisione rappresenta una correzione tardiva e ancora insufficiente rispetto ai danni causati dall’interpretazione errata dello studio Women’s Health Initiative (WHI), che ha avuto conseguenze devastanti per le donne di tutto il mondo.
A essere problematico non è stato lo studio in sé, bensì il suo disegno metodologico e, soprattutto, la reiterata e fuorviante interpretazione dei risultati, amplificata in modo allarmistico dai media. Ne è derivato uno tsunami di paure infondate che ha quasi smantellato l’intero ambito della medicina della menopausa per oltre due decenni.

Nel comunicato ufficiale, il Segretario Kennedy ha dichiarato:
“Per oltre vent’anni, cattiva scienza e inerzia burocratica hanno portato donne e medici ad avere una visione incompleta della terapia ormonale sostitutiva. Stiamo tornando alla medicina basata sulle evidenze e restituendo alle donne il controllo della propria salute.”

Non possiamo che concordare pienamente, Signor Segretario.

Come società scientifica leader dedicata alla salute della donna, ci siamo opposti sin dall’inizio al deliberato tentativo di presentare in modo fuorviante lo studio WHI come uno studio sulla terapia della menopausa. Tuttavia, il megafono istituzionale del National Institutes of Health (NIH) e, in particolare, dei suoi vertici, ha sovrastato le proteste della comunità medica contro le prime pubblicazioni del WHI.

In realtà, lo studio WHI ha indagato gli effetti della somministrazione di ormoni sessuali in donne anziane, non la gestione clinica della menopausa.

L’errore concettuale fondamentale è stato quello di arruolare donne molto tempo dopo il periodo considerato appropriato dalla pratica clinica corrente e di interpretare i risultati ottenuti come applicabili a donne più giovani, normalmente candidate alla terapia ormonale.

Poiché è ben noto che gli estrogeni riducono i sintomi vasomotori (VMS), per evitare lo unblinding del trattamento gli investigatori del WHI hanno incluso esclusivamente donne in postmenopausa tardiva, ormai prive di VMS. L’età media era di 63,3 anni. A donne prevalentemente sessantenni e settantenni, senza indicazioni cliniche specifiche alla terapia ormonale, sono state somministrate dosi elevate di estrogeni equini coniugati (CEE), da soli o in associazione con acetato di medrossiprogesterone (MPA) in presenza dell’utero

Tali trattamenti sono stati somministrati a una popolazione con un carico di comorbidità che avrebbe dovuto destare immediata preoccupazione e che, nella pratica clinica, non avrebbe mai ricevuto HRT a fini preventivi: la maggioranza delle partecipanti era sovrappeso o obesa; l’ipertensione non trattata era altamente prevalente; molte erano diabetiche; e una quota significativa presentava eventi cardiovascolari pregressi

In una popolazione con un rischio cardiovascolare basale così elevato, sottoposta a una terapia nota per aumentare il rischio tromboembolico, era ragionevole attendersi un eccesso di morbilità e mortalità cardiovascolare. Tuttavia, in modo inatteso, la maggior parte delle donne incluse nel WHI ha tratto beneficio dalla terapia ormonale.

In particolare, le donne entro i primi 10 anni dall’ultima mestruazione hanno mostrato una riduzione marcata e statisticamente significativa degli eventi cardiovascolari, soprattutto coronarici, e delle fratture di femore. Questo risultato era già evidente in una delle prime sottoanalisi del WHI, pubblicata però solo cinque anni dopo il primo articolo

Le donne arruolate tra i 60 e i 70 anni non hanno mostrato né benefici né un aumento del rischio cardiovascolare; l’aumento del rischio è stato osservato esclusivamente nelle donne che iniziavano la terapia oltre i 70 anni di età.

Nonostante le richieste insistenti di accesso ai dati grezzi, per molti anni gli autori del WHI hanno pubblicato esclusivamente dati aggregati, presentando l’intera coorte come un gruppo omogeneo e riportando un eccesso complessivo di eventi cardiaci, tromboembolici e di carcinoma mammario nelle donne trattate con CEE + MPA. Non è stata effettuata alcuna distinzione tra donne cinquantenni e settantenni, una scelta biologicamente e clinicamente indifendibile.

Una recente rianalisi dei dati del WHI, condotta dallo stesso “principal investigator” originario, ha completamente riformulato l’interpretazione dei risultati

La rianalisi dimostra che le donne più giovani hanno tratto beneficio cardiovascolare dalla terapia, mentre l’aumento del rischio è limitato alle donne che hanno iniziato il trattamento dopo i 70 anni. È quasi surreale leggere questo articolo e assistere a questa improvvisa “rivoluzione” interpretativa, considerando che i dati sono identici a quelli disponibili vent’anni fa. Eppure, ancora oggi, gli autori continuano a definire HRT la somministrazione di alte dosi di estrogeni e progestinici a donne sessantenni e settantenni, una definizione che non ha alcuna attinenza con la moderna gestione evidence-based della menopausa. Come possiamo continuare ad accettare che la somministrazione di 0,625 mg di CEE a una donna di 75 anni venga definita “terapia ormonale sostitutiva”?

Dopo vent’anni di instancabile presentazione di evidenze contrarie, si è finalmente giunti alla rimozione del black box warning negli Stati Uniti. Tuttavia, questo non rappresenta una svolta globale: la maggior parte dei Paesi non ha mai adottato tale avvertenza. Pur accogliendo questo cambiamento come un segnale tardivo di correzione, non possiamo non ricordare la perdita di numerosi prodotti ormonali scomparsi dal mercato come danno collaterale del panico generato dal WHI.

L’unica “colpa” di questi prodotti era di essere estremamente economici ed estremamente sicuri se utilizzati nelle donne appropriate — cosa che, è bene dirlo chiaramente, il WHI non ha fatto — e di avere il potenziale di prevenire la malattia cardiovascolare nelle donne trattate a lungo termine.

Per oltre due decenni, le donne hanno sopportato sofferenze inutili e profondamente invalidanti a causa dell’interpretazione errata dei risultati originari del WHI, amplificata indiscriminatamente dai media e da una parte della comunità scientifica. La menopausa è stata espulsa dall’agenda sanitaria. Le aziende farmaceutiche hanno dirottato gli investimenti verso settori più redditizi. Le società scientifiche hanno combattuto con determinazione, ma con scarso successo. La scienza è complessa; i media preferiscono narrazioni semplificate, anche quando sono palesemente errate. Quando ogni messaggio rivolto alle donne evoca pericoli immaginari, la paura diventa inevitabile. Molte hanno finito per credere che soffrire in menopausa fosse inevitabile solo perché “naturale”.

Commentando il lavoro del comitato che ha sostenuto la rimozione del black box warning, il Commissario della FDA, Dr. Marty Makary, ha dichiarato:
“Tragicamente, decine di milioni di donne sono state private dei benefici trasformativi e a lungo termine della terapia ormonale sostitutiva a causa di un dogma medico basato su una distorsione del rischio.”
e ha aggiunto:
“A mio avviso, questa è una delle più grandi tragedie della medicina moderna: la demonizzazione della terapia ormonale sostitutiva.”

È esattamente ciò che sosteniamo da vent’anni. È rassicurante che le istituzioni governative stiano finalmente — seppur tardivamente — riconoscendo la verità. Ciò che vorremmo anche ascoltare, tuttavia, è un riconoscimento esplicito del danno profondo inflitto alla salute delle donne dall’interpretazione errata del WHI, amplificata senza discernimento da gran parte dei media.

Ma questo, con ogni probabilità, non accadrà.

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