Editoriale

Obesità, demenza e rischio di morte in età avanzata

Che dal sovrappeso all’obesità il passo possa essere relativamente breve è cosa risaputa ma è ancor più terribile pensare che con quel passaggio si entra in un vicolo oscuro di rischi ingravescenti per la propria salute. Di fatto, in tempi recenti è stata ben documentata e dimostrata la crescente probabilità di morte nei pazienti con un alto BMI, in specie se oltre ai 65 anni di età.

Circa trenta anni fa, negli Stati Uniti, si cominciò a prestare attenzione al crescente problema del sovrappeso e dell’obesità, dapprima negli adulti ma poi anche nei bambini e adolescenti. Da allora questa problematica, in parte legata a fattori sociali ma anche culturali ed etnici, è stata causa di una crescente incidenza di malattie e patologie dell’età adulta e della senescenza tra cui il diabete, le malattie cardio vascolari, la sindrome metabolica, l’ipertensione arteriosa, l’infarto, ed altre ancora. Per alcune decine di anni si era addirittura creduto che condurre uno stile di vita corretto pur se in sovrappeso o obesi, desse garanzie di buona salute come se si fosse di peso giusto e con uno stile di vita sano e corretto. Insomma, il sovrappeso se tenuto controllato, non avrebbe dato problemi estremi. Non è per niente così.

Studi recenti si sono focalizzati sul rapporto tra obesità, cervello e funzione cognitiva nella popolazione anziana e grazie ad una scrupolosa valutazione di un database contenenti dati di pazienti seguiti per 27 anni consecutivi (1), si è dimostrato che si ha un rischio aumentato del 74% di avere la demenza tra i soggetti con un BMI > 30 (quindi definiti obesi). Coloro che avevano un BMI tra 25 e 29.9 mostravano un aumento del rischio di circa il 34%.
Il dato preoccupante di questo studio (1) non è solo relativo alla incidenza ma bensì al fatto che lo studio ha considerato persone che tra il 1964 e il 1973 erano in età compresa tra i 40 e 45 anni e che erano ancora viventi e anziani nel 1994. In pratica questo studio ha seguito persone che erano comunque nate prima della guerra e che per anni certamente non avevano avuto grandi opportunità alimentari che invece hanno avuto le generazioni successive, quelle cioè del dopo guerra, del “baby boom” e della ripresa economica del dopo guerra. Generazione quest’ultima sicuramente più numerosa e più esposta ad avere un peso corporeo più “marcato”. Gli autori di questo studio evidenziavano che c’è una chiara correlazione tra obesità e demenza ma che la prospettiva è di avere una incidenza fino a 4 volte più alta nei decenni successivi a quelli da loro monitorati fino al 1994: In pratica, nei giorni nostri.

Sebbene sia evidente il legame tra sovrappeso/obesità e decadenza cognitiva, rimangono ancora non chiari i meccanismi per cui questo si realizza. Molti studiosi imputano direttamente al tessuto adiposo la colpa di questo decadimento, ma nulla per adesso è certo.
Quel che è certo è che l’obesità affligge praticamente tutti gli apparati ed i sistemi del nostro organismo tra l’età adulta e l’inizio della senescenza. Sebbene il peso sia induttore di un aumento delle masse ossee e muscolari, la combinazione dell’aumento del peso (grasso viscerale in particolare) con quello muscolare determina un carico dovuto alla gravità che agevola il rischio di frattura. Gli obesi hanno infatti un alto rischio di fratture ossee rispetto ad una popolazione normopeso.
Chi risulta obeso attorno ai 50 anni di età ha un rischio 5 volte maggiore di sviluppare una “fragilità” d’organismo nei 20 anni successivi rispetto ai soggetti di pari età e normopeso. Il vero problema è che non si deve aspettare di affrontare il sovrappeso o l’obesità quando si è anziani. Da anziani curare l’obesità e le sue comorbidità è una vera battaglia. La compliance del paziente diviene difficile, il decadimento cognitivo prende avvio e la ridotta mobilità legata al peso si associa alle osteoartriti, con sempre crescente disabilità. Perdere il peso a questa età aiuta ma non risolve molto o assai poco dei problemi che da tempo l’eccesso di peso ha indotto e determina solo una riduzione della massa grassa con però la riduzione della massa magra e della massa ossea. La vera ed unica soluzione è quindi affrontare il problema ai 45-50 anni di età, insomma è nella prevenzione.

Si capisce bene che si deve pensare alla vita come ad un percorso, un viaggio, durante il quale con uno stile di vita adeguato e corretto si deve cercare di mantenere “la macchina” cioè il nostro organismo, nella sua interezza biologica funzionale, quanto più in buona “funzione”. È ormai certo che contenere il peso, misurare la quantità del cibo, sceglierne la qualità ed i contenuti, determina una prospettiva di vita più lunga e di miglior qualità, di fatto ostacola la possibile insorgenza di patologie legate all’invecchiamento ma praticamente indotte dal uno stile di vita non consono.
Gli studi recenti hanno comunque sottolineato che perdere peso e fare attività fisica aiuta ma non sempre e non del tutto le persone obese che iniziano a farlo tardi, comunque dopo i 65 anni di età. Di fatto l’attività fisica ed il controllo del peso rendono più difficile alla biologia dell’anziano obeso il controllo delle sue funzioni, e questo sembra addirittura agevolare o favorire dei disturbi della tarda età come il riassorbimento osseo, pur migliorando la prospettiva di una vita più lunga.

In tempi recenti, una revisione dei dati epidemiologici è stata fatta sulla popolazione americana da Masters et al (2) con una particolare attenzione al problema della popolazione obesa tra il 1986 ed il 2006. Superando il luogo comune che l’obesità “fa male alla salute”, questo autore ha dimostrato che in molti studi epidemiologici una buona parte dei pazienti obesi erano esclusi a priori, proprio perché già malati o con un rischio di malattia già in atto per cui dovevano essere esclusi dalla considerazione. Studiando quindi solo la popolazione obesa ed anziana per 20 anni, Masters ha dimostrato che l’obesità porta a danni e patologie di gran lunga più gravi de serie di quanto ci si potesse aspettare, con un rischio reale di morte che saliva dal 5% della popolazione generale, secondo le stime precedenti, al 18% medio nella fascia tra i 40 e gli 85 anni di età. Il rischio è risultato del 27% nella popolazione di colore afro-americana e del 21% nelle donne bianche.
Tutto questo dipinge uno scenario sicuramente grave, anzi gravissimo. E questa popolazione di anziani è certamente stata migliore di quella che starà per venire, quella cioè derivante dai ragazzini che ad oggi sono risultati già in sovrappeso o francamente obesi. Una popolazione questa che già in giovane età presenta la induzione ad alienazioni delle funzioni biologiche, tutte predisponenti a quadri di malattia ad età più giovanili di quelle della popolazione studiata da Masters. Di fatto gli ottuagenari di oggi sono quelli passati da ragazzini attraverso la crisi americana degli anni ’30 e poi hanno superato la guerra. Non era quello un tempo in cui si era obesi da bimbi, come in modo del tutto simile non si era obesi in Europa negli anni tra il ’30 e il ’50 tra primo dopo guerra e secondo dopo guerra. Adesso, superato il baby boom degli anni ’60, il benessere sociale, approdati al “junk food” ormai da decenni, che cosa ci aspetta e si prospetta?

Sicuramente una maggiore attenzione alimentare, 40 minuti di attività fisica 3 volte alla settimana e meno stress per cercare di avere un peso contenuto, ma non essere obesi, in specie se si è già over 45.
È una questione di salute per tutti, per il paziente ma anche per il medico. Mi fermo qua, adesso vado a correre e stasera a cena solo carne ai ferri e insalata…

Prof. Alessandro D Genazzani

Referenze

  1. 1. Rachel A Whitmer, Erica P Gunderson, Elizabeth Barrett-Connor, Charles P Quesenberry Jr, Kristine Yaffe. Obesity in middle age and future risk of dementia: a 27 year longitudinal population based study. BMJ, doi:10.1136/bmj.38446.466238.E0 (published 16 May 2005)
  2. 2. Masters RK, Powers DA, Link BG. Obesity and US mortality risk over the adult life course. Am J Epidemiol. 2013, 177(5): 431-42.
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